Mondo Dei Piccoli

MAMMA,PAPA E IO...

Speciale vaccini


A cura dell’associazione APEL (Associazione Pediatri ExtraOspedalieri Liguri)



Cari Genitori,

l’argomento “vaccinazioni” viene trattato sui mass media (televisione, giornali, internet) spesso in modo superficiale o enfatico, ancor più spesso disinformato o strumentale. Vogliamo quindi utilizzare questo spazio per dare alcune informazioni che possano rendere più consapevole l’adesione al percorso di prevenzione verso alcune gravi malattie di cui il Pediatra, al quale avrete affidato la tutela della salute del vostro bambino, potrà comune dare conferma.


Vaccini per “vecchie” malattie: perché continuare a farli?
Nel calendario proposto oggi in Italia, è prevista l’esecuzione di alcuni vaccini che proteggono il bambino da malattie che appartengono maggiormente al passato, per nostra fortuna ma soprattutto per l’impegno di molti medici che hanno dedicato la loro vita professionale affinché fossero sconfitte.

Probabilmente le mamme e i papà di oggi non hanno mai visto un bambino affetto da poliomielite, nato e cresciuto nei paesi Occidentali, e nemmeno un caso di difterite o di tetano. Senz’altro a loro i nomi di queste malattie evocano quadri clinici molto gravi (ma ancora per quanto ?) e la paura che il loro bambino possa correre il rischio di ammalarsene appartiene, per loro, alla sfera dell’improbabile.

Una ricerca del CENSIS del 2003 dimostra come la prima preoccupazione di due genitori riguardo la salute del proprio figlio, sia l’avere un incidente, la seconda di far uso di droga, la terza di frequentare cattive compagnie e solo al quarto posto di incorrere in una grave malattia; questo è sicuramente il frutto di una migliore assistenza sanitaria della quale la pratica vaccinale ha contribuito in modo essenziale.

Ma allora, perché bisogna continuare a vaccinarsi per polio, difterite o tetano?
L’ Europa è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come zona “libera da polio” e l’ultimo caso segnalato risale a quasi vent’anni fa; pertanto si è passati dall’uso del vaccino orale (Sabin, con virus vivo) a quello iniettivo (Salk, con virus ucciso) meno proteggente ma anche privo dei rischi, eccezionalmente rari ma possibili, di gravi reazioni.

Solo la scomparsa in tutto il mondo della circolazione del virus (mancano all’appello delle zone libere da polio l’Asia e l’Africa) potrà permettere di sospenderne totalmente l’esecuzione, come del resto si è fatto alla fine degli anni ’70 per la vaccinazione antivaiolosa, attualmente non più praticata.

Quindi si introduce il concetto di globalità (fors’anche di solidarietà) e di controllo epidemiologico esteso anche a paesi lontani; ciò vale anche per la difterite in quanto è vero che in Italia l’ultimo caso segnalato risale a quasi dieci anni fa, ma le recenti epidemie nei paesi dell’ ex Unione Sovietica non inducono assolutamente ad abbassare la guardia, infatti si può ben affermare che i germi circolano con e più degli uomini!

Un caso a sé stante è invece il tetano: infatti per questa malattia non si potrà mai giungere alla scomparsa in quanto il suo “serbatoio” (cioè l’ambiente in cui vivono i germi) è la terra e quindi solo il mantenimento della protezione, tramite la vaccinazione, deve essere continuata tutta la vita, con un richiamo ogni dieci anni.

Ricordatevi quindi che le vaccinazioni non sono solo tipiche dell’età infantile, ma che esistono raccomandazioni anche per l’età adolescenziale, sempre di competenza pediatrica, ed adulta.



Perché il morbillo può essere pericoloso
Le malattie esantematiche (quelle con i “puntini”) sono da sempre abbinate all’età pediatrica e pertanto viste, anche per la considerazione che quasi tutti noi adulti le abbiamo “fatte”, come malattie innocue.

In realtà non è così, ad esempio il morbillo è una malattia comunque impegnativa anche in assenza di complicazioni, in quanto provoca circa 7 giorni di febbre molto elevata, con tosse particolarmente insistente, una congiuntivite assai dolorosa e un malessere generalizzato che tutto ciò comporta.

Ma il vero motivo per cui da 15 anni è presente la vaccinazione antimorbillosa nel calendario, è la possibile insorgenza di complicazioni nel decorso della malattia di cui vogliamo soprattutto ricordare l’encefalite che si presenta in un caso su mille malati, con esito fatale nel 15%, mentre nel 40% dei casi che sopravvivono, permangono danni neurologici o sensoriali significativi come epilessia, sordità e deficit motorio o mentale.

Certamente l’introduzione del vaccino ha fatto diminuire sia i casi di malattia che, ovviamente, le sue complicazioni, ma forse la scarsa informazione sui rischi della malattia, la considerazione del vaccino come “facoltativo” e campagne di stampa, fomentate da improvvide associazioni di obiettori verso la pratica vaccinale che argomentano in modo privo di scientificità, che enfatizzavano su inesistenti rischi del vaccino stesso, hanno portato a scarse coperture in certe regioni italiane, comprese alcune parti della Liguria, con la conseguenza di ricorrenti epidemie di morbillo, di cui la più estesa nel 2002 con 8 decessi e migliaia di ospedalizzazioni, specie nel sud del Paese.

È stato pertanto approntato un Piano nazionale mirante ad eradicare il morbillo, che vede la collaborazione fattiva di varie figure mediche, igienisti di sanità pubblica, universitari, pediatri ospedalieri e di famiglia, pediatri consultoriali, medici scolastici, attualmente in via di applicazione.

Quindi l’invito è a vaccinare i vostri bambini secondo questo schema:

la prima dose dopo l’anno di età
la seconda ai 5-6 anni
Per i bambini di età superiore, sono in corso campagne di sensibilizzazione nelle scuole elementari e medie con invito attivo alle sedi di Igiene Pubblica o presso i propri Pediatri curanti per il recupero di chi non avesse ancora completato il ciclo delle due dosi.

Non secondaria è la considerazione che, abbinata a detto Piano, si vuol ottenere anche la drastica riduzione dei casi di rosolia congenita, evenienza che può accadere nel caso in cui la donna in gravidanza contragga la malattia nel primo trimestre di, con gravissime possibili conseguenze come aborto spontaneo o, nel neonato, ritardo mentale, cataratta, cardiopatia.


Quali sono i vaccini contro la meningite e quando è opportuno farli
In un’indagine tra le famiglie, la malattia infettiva più temuta è risultata la meningite; va però ben spiegato che non esiste la meningite, bensì esistono le meningiti, ovvero quadri clinici molto gravi causati da diversi germi o virus e che solo per alcuni di questi è possibile una prevenzione tramite il vaccino.

Pertanto esistono attualmente tre forme prevenibili dovute rispettivamente:

all’Enofilo
allo Pneumococco
al Meningococco di tipo C.
L’Enofilo era responsabile di circa 150 casi all’anno in Italia, in età inferiore ai 5 anni, attualmente ridotti a poche unità grazie all’uso estensivo del vaccino specifico, abbinato nella stessa siringa agli altri del calendario ufficiale (nella stessa iniezione si trova infatti: antitetano, difterite, poliomielite, epatiteB, pertosse oltre all’anti emofilo).

Il secondo vaccino, quello per lo Pneumococco, è disponibile solo dal 2001 ed introdotto nel calendario della Regione Liguria, prima in Italia, con offerta attiva e gratuita dal novembre 2003 a tutti i nuovi nati. Ovviamente la recente introduzione non permette ancora di conoscere i dati locali sulla riduzione di tutte le patologie gravi provocate dal germe che, ricordiamo, non sono solo meningiti ma anche setticemie e polmoniti gravi.

Comunque la corretta informazione e l’impegno condiviso dei vari medici coinvolti ha già permesso il raggiungimento di alti tassi di adesione alla campagna, premessa indispensabile alla riduzione significativa delle patologie gravi connesse.

La vaccinazione per Pneumococco viene praticata nei nuovi nati in occasione delle routinarie sedute vaccinali e può comunque essere consigliata, oltre che nei casi a rischio ben individuati dai Pediatri curanti, a tutti i bambini al di sotto dei 3 anni di età.

Infine, di ancor più recente disponibilità, esiste la possibile prevenzione per le meningiti da Meningococco, stabilmente presenti in Italia in circa 250 casi all’anno: non esiste un aumento significativo di questi casi, a dispetto di quanto venga enfatizzato sui mass media. In realtà esiste dal 2004 un aumento in percentuale dei casi dovuti al ceppo C di meningococco, il solo per il quale è in commercio il vaccino, attualmente assestati attorno al 50% dei casi totali.
Quindi assume maggior importanza l’indicazione a vaccinare anche per questa grave forma di malattia (15% circa di mortalità, 40% circa di disabilità residua) i soggetti a rischio per l’età: come per le altre due cause (Emofilo e Pneumococco
è sempre il bambino piccolo a esserne principalmente colpito ma in questo caso un’altra età cui indicarlo è l’adolescente in quanto l’incidenza risale per motivi anche di socializzazione.

Le dosi devono essere due nel primo anno di vita con un richiamo dopo l’anno, mentre per chi si vaccina dopo l’anno ne basta una sola.
Il vaccino è ben tollerato considerando l’esperienza inglese che vede applicata la vaccinazione universale da oltre 5 anni.

Quindi, se una conclusione deve essere fatta, potremmo dire: “Vaccinare sì, ma con giudizio!”



Il nuovo vaccino per la varicella
Qualche “addetto ai lavori” che leggesse questo titolo arriccerebbe il naso perché in effetti il vaccino per la varicella non è nuovo in quanto esistono esperienze di utilizzo in Giappone e negli Stati Uniti da molti anni; di nuovo c’è invece l’introduzione del vaccino per la varicella nel calendario suggerito dai Pediatri e, prossimamente, dall’Igiene Pubblica in Italia.

Perché vaccinare?
Dovremmo, per rispondere a questa domanda, considerare qual è oggi la percezione di una malattia, la sua accettazione, il suo “costo” in termini diretti (spese per curarla a casa o in ospedale se si complica) e indiretti (quale impegno per le famiglie inteso anche in giornate di assenza dal lavoro, assistenza e ansie collegate) ma anche la percezione di un rischio di una malattia, o il concetto di “rarità” se debba essere intesa in senso collettivo (tot malati, tot risorse per evitarli investite da un‘autorità pubblica) o in senso individuale (“è capitato a mio figlio, non mi interessa sia rara o meno, se era evitabile avrei preferito almeno saperlo”).

Sono questi concetti “nuovi” rispetto alle scelte di introduzione precedenti per le quali deve prevalere il ruolo della corretta informazione sui rischi e sui benefici, sul ruolo fondamentale del Pediatra curante cui è affidata dalla famiglia la tutela della salute del proprio bambino basata su un rapporto di fiducia, premessa indispensabile e quanto mai “rara” (questa sì!) nel settore dei Servizi Pubblici, globalmente intesi.

Ma allora, torniamo al nostro quesito, perché vaccinare?
Perché la varicella non è assolutamente una malattia innocua e lo testimoniano i dati sulle complicanze (neurologiche, respiratorie, ematologiche, dermatologiche) che fanno risultare come ogni giorno, in Italia, vengano ricoverate in media 5 persone, bambini ed adulti.

Ma il vaccino è sicuro ?
Questa è la classica domanda che i genitori fanno quando si sentono proporre una vaccinazione, quasi mai quando si propone una terapia antibiotica per un’infezione in corso. È comprensibile: nel primo caso abbiamo un bambino in perfette condizioni di salute, nel secondo ovviamente no e pertanto si sentirebbero maggiormente responsabili in caso di reazione avversa. Bisogna considerare sempre la scelta più consapevole a favore della tutela della salute e la “bilancia” pesa anche in questo caso verso la vaccinazione ed i dati numerici, impossibili da riportare in questa sede, lo testimoniano nelle esperienze internazionali pluridecennali

Chi e quando vaccinare?
Considerando la maggior frequenza di complicanze nell’età adulta e nella donna in gravidanza, è prioritario vaccinare a 10-12 anni chi non abbia ancora contratto la varicella.

Una volta garantito questo “sbarramento” indispensabile, si può passare alla vaccinazione universale a 12-15 mesi assieme alla vaccinazione antimorbillo-parotite-rosolia, ricordandosi che vaccinarsi (e ancor più essere informati correttamente) è un diritto, non un obbligo.